In un interessante articolo apparso su “Il Sole 24 Ore” si analizza il vantaggio organizzativo che le differenze di genere (e non solo) riescono ad apportare. Il confronto e la condivisione di punti di vista, approcci e soluzioni che un team eterogeneo di persone può mettere sul tavolo è, sicuramente, un enorme beneficio rispetto all’accentramento decisionale: mettere in atto un cambiamento che porti dall’uno a molti è un percorso in salita ricco di ostacoli.
La maggior parte delle PMI è strutturata in modo piramidale: è molto più comodo concentrare su un unica figura l’onere di scegliere (e, di conseguenza, la colpa di un errore); in modo simmetrico, però, diventa altrettanto difficile per quella persona, una volta innescato il cambiamento, lasciare che siano altri a proporre e rimanere in secondo piano, attendendo i risultati.
Il “board” che guida l’azienda deve organizzarsi periodicamente per avere una visione a 360° di ciò che succede e deve saper parlare di strategia a medio-lungo termine senza tralasciare la quotidianità, ma scindendo in modo netto i momenti di discussione.
In quella tavola rotonda, tutti sono uguali e liberi di esprimere la propria opinione che deve essere accolta e discussa senza preconcetti. Visioni diverse, possono portare a scelte più efficaci perchè analizzano punti di vista spesso sottovalutati o ritenuti poco impattanti.
Questo vale soprattutto nella gestione delle persone, che sono il vero capitale aziendale. La gestione “combinata” del personale porta vantaggi competitivi e, sempre più spesso, una maggiore valorizzazione delle competenze.
Creare collaborazione significa individuare un obiettivo comune per tutti, condiviso, a cui tutti aspirano in egual maniera e, pur con punti di vista diversi, tutti vogliono raggiungere apportando, ognuno per la propria area, l’aiuto necessario a tutto il team.
Una squadra di calcio, di pallavolo, basket, ciclismo, una cordata di alpinisti: sono tutti esempi che possono essere presi a modello.
La difficoltà vera è plasmare quel modello in ambito aziendale: è facile sentirsi parte di una squadra nello sport, più difficile “far parte” (o “sentirsi parte”) della stessa azienda.
Noi possiamo aiutarvi a costruire la squadra!
Durante le sessioni di consulenza, mi scontro con questo problema quotidianamente. Un gruppo di persone che deve lavorare insieme ma che non è una squadra.
Fare squadra significa accettare ruoli diversi, opinioni diverse e capacità diverse.
Significa crescere e far crescere. Significa avere un metodo oggettivo di valutazione che si applica a tutti e che possa valorizzare in maniera equa ogni figura.
Significa condividere ed aiutare. Ma anche lasciare spazio agli altri.
Questa è la cosa più complessa: se uno è più bravo, mi ruba il lavoro. Se viene ascoltato, mi mette in ombra. Lui non capisce niente, io invece ho la verità in mano.
Se sei bravo, l’azienda saprà valorizzarti.
Voi come vi comportate?